Ordigno collocato dal gruppo terroristico di estrema destra Ordine Nuovo. Noi, EstremeConseguenze, oggi deponiamo diciotto mazzi di fiori
Di Estreme Conseguenze / RedazioneE così siamo a 50 anni, 50 anni dalla strage di Stato di Piazza Fontana a Milano. Strage di Stato perché uno Stato che in mezzo secolo non riesce a trovare i colpevoli della bomba del 1969 che uccise 17 persone è connivente. E non lo è moralmente, lo è nei fatti perché lo Stato obbligò i magistrati a fermarsi davanti al “segreto di Stato”, che è la formula con la quale lo Stato nega sé stesso, nega il diritto di sapere la verità, nega lo Stato di diritto.
Ordine Nuovo è l’organizzazione eversiva, se vi piacciono le definizioni light, oppure, se preferite la cruda verità, l’organizzazione che nel 1973 venne sciolta perché ricostruiva il disciolto Partito Nazionale Fascista, quello del dittatore Benito Mussolini, per uscire di metafora, i fascisti. Ordine Nuovo sono quelli che quella bomba hanno messo.
Ricordate “Brescia, Bologna, Piazza Fontana, mano fascista, regia democristiana”? Lo slogan che si urlava nelle manifestazioni agli anniversari delle stragi della “notte della repubblica”?
Ecco, i fascisti erano quelli di Ordine Nuovo, la regia democristiana era il “segreto di Stato”.
Nomi e cognomi di chi la bomba l’ha messa? Lasciamo stare, li abbiamo assolti nelle nostre aule di tribunale cui appunto era stata messa la vergognosa sordina del segreto di Stato. Non pensiamoci più. È storia. Una gran brutta storia.
Le 17 vittime di quella bomba fascista ricordiamole, ricordiamole per nome ché erano persone, padri, madri, figlie e figli: Giovanni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Luigi Meloni, Vittorio Mocchi, Gerolamo Papetti, Mario Pasi, Carlo Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia, Carlo Silva e Attilio Valè. C’è poi la diciottesima vittima, l’anarchico Giuseppe Pinelli.
In piazza Fontana ci sono due lapidi che ne ricordano la morte. Una della città di Milano che dice: “innocente morto tragicamente nei locali della questura” e l’altra, quella firmata dagli studenti e dai democratici del capoluogo che recita: “ucciso innocente nei locali della questura di Milano”.
Noi i fiori oggi li poniamo ai piedi di questa seconda lapide, perché Pinelli non è caduto, ma è stato spinto, e sotto quella che ricorda gli altri 17 morti per mano fascista, ché le bombe esplodono, ma c’è chi le mette, gli assassini in camicia nera, in questo caso qui.
Le vittime della bomba del 12 dicembre 1969 furono 17. Il 15 dicembre morì il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, accusato ingiustamente.
Le vittime
Carlo Garavaglia
67 anni, pensionato, vedovo con una figlia sposata , nonno di Elisabetta di 4 anni, si recava spesso al mercato di piazza Fontana per combinare qualche piccolo affare come mediatore.
Gerolamo Papetti
78 anni, di Rho, agricoltore. Fra gli abituali frequentatori di piazza Fontana, è stato colpito dall’esplosione mentre era in banca con il figlio Giocondo.
Mario Pasi
50 anni, geometra, abitante in via Mercalli a Milano. Svolgeva la professione di amministratore di stabili e fondi.
Giulio China
57 anni, di Novara, era fra i più quotati operatori agricoli della…

TUTTI BANCHIERI CON I SOLDI DEGLI ALTRI
William Beccaro
Ma ve lo ricordate Pinocchio? Quello di Collodi che, convinto dal gatto e dalla volpe, decise di andare a ‘piantare’ le sue monete con l’idea che ne sarebbe nata una pianta di monete? Che fossero come semi? Che come dalle mele nasce il melo e quindi altre mele, così accadesse al denaro?
Leggendo dell’ennesima crisi bancaria italiana, questa volta tocca alla Popolare di Bari, mi è venuto in mente il Paese dei Barbagianni con annesso il Campo dei Miracoli. Perché alla fin fine, facendola facile facile, sicuramente troppo facile, a noi Italiani è un po’ andata così.
Sono abbastanza vecchio da ricordare che fino a non molto tempo fa “tenere i soldi sotto il materasso”, non era un modo di dire per dileggiare qualcuno che ha un atteggiamento eccessivamente prudente, ma era la memoria di realtà appena passate. Di quando appunto i risparmi di famiglia, per lo più modesti, finivano sotto o nei materassi delle camere da letto.
L’alternativa, nell’Italia rurale o di prima industrializzazione, era la mattonella, che poi era una piastrella che veniva rimossa dal pavimento, si scavava un po’ e lì si serbavano i “tesori”. Piccoli e modesti tesori, che a essere rimossa era una mattonella, non un intero pavimento.
Casseforti improvvisate di famiglie sostanzialmente senza tesori o, meglio, così modesti da non giustificare certo una cassetta di sicurezza murata in qualche angolo di una casa che per lo più non possedevano e neppure potevano permetter
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8/9 milioni di metri cubi di alberi abbattuti, sette volte la quantità di tronchi da sega che vengono lavorati ogni anno in Italia. Più altri 5 milioni sparsi, per un totale di quasi 15 milioni di m/c. È il bilancio della tempesta ‘Vaia’ (o Adrian) che colpì il Nord Est tra il 28 e il 29 ottobre di un anno fa. Più che tempesta, meglio chiamarlo ciclone. Un fenomeno meteorologico mai visto sulle nostre Alpi.
A un anno di distanza si fanno i conti. Non solo la verifica di quanto ancora è rimasto a terra, dei danni subiti dai boschi secolari ma per cercare di mettere insieme centinaia di dati e di analisi scientifiche.
Perché la vera preoccupazione di studiosi e scienziati è che Vaia abbia segnato un punto di svolta nell’assetto climatico del sistema alpino e che possa non trattarsi di un evento eccezionale. Venti a oltre 140km orari con punte anche di 200-230 in alcune valli. È il futuro che aspetta le Alpi?
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